“IPSE SIBI TRADIT SPECTATOR”
In una sezione della sua epistola ai Pisoni, nota come Ars poetica, il poeta Orazio, cui è intitolata la nostra Istituzione scolastica, riflettendo sulla differenza tra l’azione raccontata e quella rappresentata sulla scena, nello stabilire il primato di quest’ultima, in quanto maggiormente in grado di commuovere (inritare nel testo oraziano) gli animi, aggiunge che lo spettatore, a differenza dell’uditore, ipse tradit sibi ciò che è posto sotto i suoi “occhi fedeli”.
È da questa considerazione che intendiamo prendere le mosse per provare a chiarire che cosa ci abbia spinti a dare vita a una compagnia stabile di teatro all’interno del nostro Liceo. L’esperienza della visione, nella quale certamente non si esaurisce il rapporto con il fatto teatrale, il quale scomoda massicciamente tutte le altre dimensioni sensoriali, esaltandole, permette a chi assiste alla mimesis teatrale di avvertire l’altro da sé come prossimo, fino al punto di tradere sibi l’oggetto della visione. Che cosa intenda il poeta latino con quel tradere è evidentemente interpretabile anche alla luce del variare delle sensibilità estetiche: a chi scrive piace pensare che con questa scelta Orazio intenda alludere a un processo di immedesimazione, a un “intuarsi” dello spettatore che, in grazia dell’esperienza teatrale, riesce a far spazio all’altro, fino al punto di dargli ospitalità.
Se si accettano tali premesse, si comprenderà facilmente che l’iniziativa cui si intende dare vita, che coinvolgerà direttamente soltanto un dato numero di studenti, oltre che di docenti, in realtà è rivolta a tutti quelli che, ragazzi e adulti che vivono nella scuola, sceglieranno di farne esperienza indiretta[1] Tuttavia, proprio in virtù di quel tradere, l’esperienza da indiretta si fa diretta e personale, sfondando la quarta parete.